Spettri di luce che illuminano vita e carriera di un light designer. Scopriamo la storia di Federico Ognibene e del suo mestiere.

Ciao Federico, la prima domanda che vorremmo farti a bruciapelo è: hai paura del buio? Cosa rappresenta per te l’assenza di luce?
Il buio è sempre stato parte integrante della mia vita, e devo dire che, al contrario di quello che solitamente si prova, a me piace.
Vivo in aperta campagna su una collina nei castelli romani, in mezzo al terreno pieno di ulivi che fu coltivato da mio nonno poco fuori Velletri, proprio nella zona dove vissero Tognazzi, De Filippo, Anna Magnani, un posto bellissimo dove ancora tutto sa di paese, dove di notte, proprio grazie al buio, riesco ancora a vedere le stelle.
La mia vita professionale si fonda sull’utilizzo e sulla divulgazione della luce, e quindi non potrà mai essere assente, almeno nei miei pensieri.
Il settore dell’illuminotecnica è un ambito sconosciuto a molti. Ci puoi svelare qualche segreto del mestiere?
Sai, più che altro è divertente vedere le espressioni di genuino interesse nei volti delle persone quando inizio a raccontare la mia professione!
Come hai giustamente sottolineato, l’illuminotecnica – cappello che contiene tantissime figure professionali diverse – è quel settore che si occupa di farti vedere: uno spettacolo, un monumento, un meraviglioso museo, una casa, qualsiasi cosa.
Ma l’atto del vedere è ovvio e scontato, quindi nessuno ci fa molto caso, mentre invece è un processo complesso che per svolgere le sue funzioni è aiutato anche da noi, gli illuminotecnici.
Per fare il mio mestiere bisogna studiare molto e fare tanta tanta pratica, il risultato finale di una bella illuminazione è frutto di un gruppo di persone che lavorano tutte per lo stesso scopo, chi progetta gli effetti della luce sull’ambiente, chi progetta gli apparecchi che emettono la luce, chi progetta i sistemi di gestione della luce (creando “scenari” luminosi) e chi progetta i sistemi elettrici dell’impianto: se tutto procede per il verso giusto, il risultato sarà perfetto.
C’è solo un unico segreto nel mio mestiere, che è quello di vedere: analizzare (e analizzarsi) con spirito critico e costruttivo, e avere una buona memoria, perché le idee possono venire quando meno te l’aspetti e te le devi saper ricordare.
E per tornare all’inizio del nostro discorso, sai di solito quando mi vengono le idee migliori? Di notte, al buio.

Leggiamo che l’eccellenza veliterna ILM nasce negli anni ‘70 con tuo padre. Come si è evoluto da quegli anni il settore dell’illuminazione, anche in relazione alle tematiche più attuali circa la sostenibilità?
Abbiamo sempre cavalcato l’onda dell’innovazione, di cui siamo stati sempre fautori, e quando oltre venti anni fa arrivarono i primi led bianchi non ci è sembrato vero, finalmente una tecnologia che poteva effettivamente creare una luce che consumava pochissimo rispetto alle vecchie lampade ad incandescenza o a scarica di gas, riuscendo per primi a dimostrarne l’efficacia nel 2007 a Roma, durante una installazione temporanea che si chiamava Meteora, per la quale ho progettato i primi sistemi di apparecchi a Led bianchi: i tecnici di ACEA (l’azienda che gestisce l’illuminazione pubblica a Roma) non ci potevano credere!
Siamo un’azienda piccola ed estremamente tecnologica, dove il processo produttivo è quindi direttamente controllato e gestito all’interno della nostra struttura: tutti i componenti degli apparecchi di illuminazione che creiamo sono pensati per essere utilizzati in più declinazioni possibili e questo ci permette di non avere “sprechi” o materiale di risulta, cercando di realizzare un percorso virtuoso sul riutilizzo di tutti i materiali che impieghiamo per realizzare la luce.
Cosa pensi della tecnologia LED che ha rivoluzionato l’illuminotecnica alla fine del secolo scorso?
Per noi fu una rivoluzione “in famiglia”, anche prima dell’arrivo dei Led bianchi che ora vengono utilizzati per la luce artificiale utilizzavamo i Led per i display luminosi e per effetti scenografici, progettai io il primo display a Led per Telethon nel 1997, e poi li impiegammo con successo ovunque, forti proprio della nostra pregressa esperienza con questa nuova tecnologia.
Oramai la tecnologia Led SSL (Solid State Lighting, illuminazione allo stato solido) è matura, ma nei primi anni ha messo in forte difficoltà le storiche aziende di apparecchi di illuminazione, perché tutte dovettero riprogettare da zero tutti i loro prodotti, ma dopo alcuni anni di transizione, tutto si è sistemato e i produttori italiani di apparecchi d’illuminazione sono sempre tra i migliori al mondo.
Sono stati anni fondamentali anche per noi, perché abbiamo potuto sperimentare e trovare soluzioni totalmente inedite, che ancora adesso sono all’avanguardia del settore dell’illuminazione.
Sei anche docente e partner tecnico in alcuni corsi accademici e universitari. Cosa ti piace di più del trasmettere la tua esperienza ai giovani d’oggi che si affacciano al mestiere?
Sono docente di Lighting Design all’Accademia Italiana di Arte, Moda e Design per entrambi i Campus di Roma e Firenze, dove sono anche coordinatore del dipartimento di Design per l’indirizzo Magistrale. La nostra è un’Accademia internazionale, la metà dei nostri studenti vengono dall’estero ed infatti le nostre lezioni sono tenute in inglese. Uno dei compiti che svolgo in qualità di coordinatore è quello di fare i colloqui di ammissione agli studenti che vogliono seguire i nostri corsi di Interior Design e Product Design, e osservare le espressioni di gioia degli studenti stranieri quando confermo loro che possono venire in Italia a studiare mi rende orgoglioso, perché so che probabilmente questo viaggio in Italia cambierà le loro vite.
Sono anche docente al Master in Lighting Design dell’Università la Sapienza di Roma, dove formiamo i lighting designers del futuro, e poi sono spesso ospite di convegni e masterclass: dove posso vado e spiego che esiste un mondo fatto di persone appassionate alla luce, che non è così scontata come sembra.
Cerco di trasmettere tutto quello che posso, porto i miei studenti con me a vedere i progetti che ho realizzato nel corso degli anni e in quelli attuali, in fase di realizzazione, li porto in cantiere, gli faccio girare l’Italia, letteralmente: insegno loro che la bellezza va preservata, non solo creata, cerco di renderli consapevoli dell’ambiente che li circonda e per questo più ricettivi agli stimoli dell’ambiente, la luce è un linguaggio universale, basta saperlo riconoscere e iniziarci a scrivere.

Abbiamo voluto tenere questa domanda in chiusura, per darle il giusto rilievo. A noi di CONNECTIONMAG. piace condividere la storia di quei mestieri che si sono tramandati di padre in figlio. Ci puoi raccontare come tuo padre fondò l’azienda e cosa direbbe oggi secondo te sul futuro di questa?
Eh già, l’azienda nasce nei primi anni 70 per merito di mio padre Marcello, grande appassionato di tecnologie e profondo conoscitore delle lampade esistenti in commercio, questo perché per anni ha lavorato nell’azienda dell’inventore del tubo al neon (la Claude Neon). Dopo alcuni anni di “gavetta”, si ritrova in RAI per iniziare a contribuire all’innovazione della luce scenografica, di cui fu il vero e proprio motore per tanti anni, inventando la “miscelazione tricromatica a catodo freddo”, ovvero l’utilizzo di tubi al neon colorati di rosso, verde e blu per generare infinite possibilità di colore, proprio quello che ora siamo abituati a vedere con i Led RGB, solo che l’ha fatto quaranta anni fa!
Ma non è stato semplice sopravvivere, nell’Agosto del 1987 ebbe un grave incidente stradale che lo rese paralizzato e lo costrinse a vivere su una sedia a rotelle, avevo 11 anni.
Mio padre mi ha insegnato proprio questo, ad andare avanti: credo che da lassù sia orgoglioso di ciò che abbiamo fatto e di come siamo riusciti a piegare la volontà del tempo ed essere ancora qui, sempre alla ricerca della luce perfetta.
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