Rebecca Baglini: l’incontro tra moda e musica

Nella vita di Rebecca, musica e moda si sono incrociate ancor prima della nascita della sua passione per questi due mondi. La nonna, cantante lirica, la portava all’Opera e lei pian piano scopriva l’importanza del costume nell’accompagnare il linguaggio musicale. Negramaro, Alessandro Cattelan, Marracash, sono solo alcuni degli artisti con cui ha lavorato e lavora.

In questa intervista ci ha raccontato quali caratteristiche sono importanti per lei per la riuscita di un buon lavoro di styling, l’importanza degli insegnamenti dei genitori e della nonna per la sua carriera e molto altro.

Rebecca Baglini x Vogue Italia, by @di.storto from @rebeccabaglini

Salve Rebecca, ci racconta come e quando nasce la sua passione per lo styling di moda?

La passione per questo tipo di lavoro, nonostante non sapessi che esistesse, l’ho sempre avuta. È una cosa che a mio avviso non si impara, si può apprendere un sistema, un metodo, però è comunque una cosa abbastanza innata. Sicuramente è una cosa che mi è stata tramandata anche molto in famiglia, dall’amore per la musica, visto che mia nonna era una cantante lirica e mi portava sempre all’Opera. Mi piaceva molto l’idea di quanto il costume potesse accompagnare perfettamente il linguaggio musicale. Crescendo sono sempre stata una persona appassionata non tanto al trend o all’hype, ma quanto allo storico del costume, la merceologia tessile, la vestibilità, le proporzioni, insomma alla conoscenza più profonda. Per me è fondamentale partire da chi si veste per una comunicazione e una coerenza a 360°, che sia nella musica, nella moda e così via. 

“Se non ti va bene studia, solo così potrai cambiare le cose”. Questa è una frase che le ripetevano i suoi genitori. Quanto sono stati importanti nel suo percorso di crescita professionale?

Questa frase è stata importante perché nel mio lavoro domani mattina chiunque può svegliarsi e dire di essere uno stylist. C’è però un problema di base: il metodo, la consapevolezza, la conoscenza, la cultura, il modo di fare e la dialettica, non si possono comprare. Studiare è una cosa che ti dà la possibilità di avere un’empatia fondamentale in questo lavoro. Conoscere il DNA del brand, i codici stilistici, argomenti che vedo sempre meno persone conoscere. I miei genitori per questo mi hanno insegnato che le cose si cambiano con la cultura e che l’ignoranza può essere scambiata per cattiveria. 

Anche quest’anno si è occupata dei look di artisti a Sanremo, come nel caso di Ultimo, ma anche di artisti che hanno calcato altri palchi, come Giuseppe Giofrè al serale di Amici. Ci racconta le sensazioni che prova quando vede l’artista pronto a salire sul palco con il look pensato da lei?

Nel momento in cui stanno per salire sul palco, il lavoro è finito. L’importante è che l’artista sia in una sua zona di comfort con ciò che indossa, che sia sereno. È un lavoro che dura mesi e mesi, dove si costruisce un linguaggio e si dà la possibilità di fare un percorso. Nel caso di programmi serali a puntate è importante scegliere con cosa iniziare, con cosa terminare, perché ogni look selezionato ha un senso per quella specifica sera. Sono soddisfatta, poi ovviamente dobbiamo ricordarci che lavorando con delle persone bisogna considerare che l’importanza che queste possono dare allo styling è assolutamente relativa.

Ha raccontato che era una persona molto frettolosa e poco paziente. Com’è riuscita a cambiare questo aspetto di lei, che ad oggi immagino sia fondamentale nel suo lavoro? 

Mia nonna mi diceva sempre che ci volevano le 3 P: pazienza, perseveranza e precisione. Io non avevo nessuna di queste. Avevo un’idea, una visione e non volevo perder tempo per paura di dimenticarla, ma sono molto attenta ad ogni aspetto del mio lavoro. 

Sua nonna è stata una figura fondamentale nell’avvicinarla a questo mondo. Qual è il più grande insegnamento che le ha lasciato?

Sicuramente che noi donne, soprattutto in questo ambiente, dobbiamo faticare il triplo e che tutto nasce dalla musica. La voglia di lottare, di imporsi. Ma anche il fatto di ricordarsi della persona, senza perdersi dietro all’hype, al trend, alla velocità. 

Ha lavorato con tanti artisti e per tanti progetti editoriali, ce n’è uno che più di tutti l’ha segnata dal punto di vista personale o professionale?

Tutti mi hanno segnato. Da Marracash che è stato uno dei miei primi lavori, ai Maneskin, ad Alessandro Cattelan che considero praticamente una persona di famiglia, a Dargen, a Giuliano dei Negramaro. Devo dire che sono in una fase della mia vita in cui fortunatamente le persone con cui lavoro sono persone con cui uscirei anche a cena. Penso che il goal sia quello, lavorare con persone che stimi, con cui passi piacevolmente del tempo. Ci si può divertire lavorando. Oltre quelli già elencati, ho lavorato molto bene con Rocco Fasano, Emma, Arisa e molti altri. Per me passare dei momenti con artisti che vedo come patrimonio dell’umanità è già molto bello.

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